Concetto difficile da digerire per chi abbia ancora in mente le scene della Guerra fredda, o anche solo le ripetute accuse di Silvio Berlusconi ai “comunisti”, contro i quali lanciare una nuova “rivoluzione liberale”.
Eppure l’analisi che vuole liberalismo e comunismo come gemelli separati alla nascita non è affatto nuova. Anzi.
Nella prima metà del ’900, non sono pochi gli autori che hanno visto nell’America liberale e nella Russia sovietica i due lati della stessa medaglia. Già nel 1929, per esempio, sulla Nuova Antologia appariva un saggio di Julius Evola dal titolo Americanismo e bolscevismo, in cui la Russia e Stati Uniti venivano definite “due branche di una unica tenaglia”.
Curiosamente è la stessa immagine utilizzata da Martin Heidegger, che nel 1935, in Introduzione alla metafisica, parlava di un’Europa stretta “nella morsa” da America e Russia.
Ma se i due pensatori possono essere accusati di un risentimento tutto “fascista” nei confronti dei loro avversari politici e geopolitici, ricordiamoci che fu il giovane Marx a definire gli Stati Uniti come il “paese dell’emancipazione politica compiuta”, ovvero come “l’esempio più perfetto di Stato moderno” (La questione ebraica).
Da un punto di vista dottrinario, dobbiamo a Karl Löwith e al suo Significato e fine della storia: i presupposti teologici della filosofia della storia, del 1949, l’individuazione delle origini bibliche della concezione marxiana del tempo. Concezione che poi si riflette nell’idea del progresso che marxisti e liberali condividono in larga parte.
In Marx, inoltre, quella della dittatura del proletariato è vista solo come una fase transitoria, mentre l’obbiettivo ultimo è l’estinzione dello Stato, esattamente come predica l’anarcocapitalismo del super-liberale Murray Rothbard. Per Marx, una volta soppresso lo Stato “1) non esisteranno più funzioni governative; 2) la distribuzione delle funzioni generali diventerà una questione di affari e non darà luogo a nessun dominio; 3) l’elezione non avrà nulla dell’odierno carattere politico” (Appunti sul libro di Bakunin ‘Stato e Anarchia’).
Nella società comunista la produzione sarà regolata in modo tale da permettermi “di fare oggi questa cosa, domani quell’altra, la mattina andare a caccia, il pomeriggio pescare, la sera allevare il bestiame, dopo pranzo criticare, così come mi vien voglia, senza diventare né cacciatore, né pescatore, né pastore né critico” (L’ideologia tedesca). Sembra un’utopia hippy, o magari una pubblicità della Apple.
La storia della filosofia nel secondo dopoguerra, dalla Scuola di Francoforte al dibattito sul postmoderno, è stata in effetti una lunga riflessione sulla natura del dominio e su quanto l’esperimento del socialismo reale sia fallito. Le differenze tra pensiero marxista e liberale, in fin dei conti, sono sempre state di tempistica e di grado: il comunsimo voleva realizzare tutto e subito, il liberalismo immaginava invece un percorso lento di conquiste graduali. Ma la direzione era la stessa. Che questa ricerca di una libertà più piena e più vera fosse, alla fine della giostra, trovata proprio nel liberalismo, magari rifugiandosi nella scorciatoia di identificarsi con un liberalismo ideale, perfettibile o “a venire”, era solo questione di tempo.